A questo punto mi sorge spontaneo chiedermi se l'utilizzo di questo termine sia corretto...
Dal vocabolario della lingua italiana Zingarelli Ed. 2009
e ancora, sempre dallo Zingarelli 2009etnomusicologìa: comp. di etno- e musicologia, sostantivo femminile, parte della musicologia che studia le musiche popolari dei vari Paesi.
Quando ho avuto il piacere di conoscere il professor Eugenio Imbriani (antropologo, docente presso l'Università di Lecce) mi è venuto spontaneo chiedergli quale qualifica fosse necessaria per potersi definire un "etnomusicologo". Il professor Imbriani mi ha palesato due possibilità: o un antropologo con conoscenze di musicologia (ovvero che sa leggere e scrivere la musica), oppure un musicologo che ha approfondito gli aspetti dell'antropologia.ètno- : in parle composte dotte, significa "popolo", "razza".
etnografìa: s.f., disciplina che studia, con intendimenti descrittivi, i costumi e le tradizioni dei popoli della Terra.
musicologia: insieme delle discipline che hanno per oggetto il fenomeno musicale in ogni suo aspetto.
Un'altra i "The new Grove dictionary of music and musicians" (edited by Stanley Sadie, Macmillan, London 1995), dove alla voce "Ethnomusicology" troviamo:
interessante è anche la nota a piè di pagina richiamata a questo puntoOggetto dell’etnomusicologia è la musica viva (oltre agli strumenti musicali e alla danza) di tradizione orale, che non appartenga alla musica colta urbana europea. I principali oggetti di studio sono: la musica dei popoli privi di scrittura (o musica tribale); la musica tramandata oralmente nelle grandi culture dell’Asia (musica di corte, delle alte gerarchie religiose e di altri strati superiori della società) in Cina, Giappone, Corea, Indonesia, India, Iran e nei paesi di lingua araba, e la musica popolare, che Nettl (1964, p.7) ha proposto di definire come la musica di tradizione orale sviluppatasi in aree dove esiste una cultura “alta”. In altre parole, la musica tradizionale non esiste soltanto in Europa e in America, ma esiste anche accanto (o all’interno) delle musiche delle culture dominanti dell’Asia. (2) Queste tre categorie sono le principali aree d’interesse dell’etnomusicologo, ma non sono le uniche. Mutamenti o influenze culturali, ad esempio, costituiscono un campo d’interesse attraverso il quale intraprendere uno studio della musica tradizionale o commerciale in tutte le parti del mondo.
Oggi l’etnomusicologia è riconosciuta come disciplina accademica in USA e in Canada, in Francia, e, in minor misura, in Germania, Olanda, Gran Bretagna e altrove. Gli specialisti di questa disciplina provengono da studi musicologici o antropologici, eccezionalmente da entrambi i campi.
(traduzione tratta da http://www.lett.unitn.it/musica/html/It ... onda/2.htm)Le due facce dell’etnomusicologia derivano fondamentalmente dai due modi che abbiamo a disposizione per pensare la musica: il primo consiste nel pensarla come qualcosa di “speciale” che va indagato al suo “interno” per capire come funziona (ed eventualmente cosa significa), il secondo modo è un approccio “esterno” più interessato ai condizionamenti cui la musica è soggetta e alle sue analogie con altri fenomeni che non al fatto musicale in sé. Questo secondo modo di pensare la musica, a sua volta, può assumere due aspetti: ciò che è “esterno” può essere l’insieme della cultura nella quale la musica stessa si manifesta, oppure può essere il processo storico che ha portato a quella tale cultura e dunque a quella particolare musica. All’inizio del suo libro più famoso l’etnomusicologo Shima Arom simbolizza la dialettica fra la sostanza “interna” della musica e gli aspetti “esterni” ad essa collegati in una figura di cerchi concentrici. Nel cerchio centrale si trova la materia musicale, nel secondo cerchio vi sono i mezzi materiali di cui si serve (strumenti, voci) e quelli concettuali (la lingua, il dialetto, le espressioni idiomatiche particolari); nel terzo cerchio Arom colloca le circostanze in cui un popolo fa musica (cerimonie, riti, danze, lavoro ecc..); in un quarto cerchio egli mostra il panorama simbolico generale del gruppo sociale preso in considerazione: la religione, i miti, la storia tramandata e accettata. La centralità della materia musicale significa che vi è un legame molto stretto fra la musica e “l’altro da sé”, ma significa anche che può essere preso in considerazione uno studio della musica “in sé”, da un punto di vista solo musicologico, senza preoccuparsi di capire se vi siano legami (ed eventualmente di quale tipo) fra la musica e il mondo.
Evidentemente la scelta fra i due possibili approcci, o l’elezione di una delle numerosissime possibilità intermedie, non dipende soltanto da un modo generale di vedere il mondo, da una filosofia della vita o da un semplice punto di vista: per mettere in atto l’una o l’altra direzione di ricerca occorre una preparazione particolare, e quella musicologica è certamente la più “tecnica” e la meno disposta all’improvvisazione.
In realtà più che fare una scelta unidirezionale fra le due opzioni, è opportuno prepararsi e acquisire gli strumenti necessari per procedere a zig-zag, ossia per riuscire a spostarsi con la dovuta abilità da un campo all’altro in modo da riuscire a fare emergere i legami fra il musicale e il culturale, quei legami di cui nessuno può negare l’esistenza, ma che – altrettanto innegabilmente – non sono biunivoci e quindi vanno continuamente verificati e messi a punto nelle diverse fasi della ricerca.
Devo riprendere fiato...e per farlo ritorno al dialogo con il professor Imbriani. Una condizione fondamentale per definirsi "etnomusicologo", secondo Imbriani, è quella di conoscere il linguaggio della "musicologia", ovvero la "musica", quindi è necessario saper leggere e scrivere la musica correttamente. Qui casca l'asino...
...infatti mi chiedo quanti fra i autoproclamati "etnomusicologi" sappiano effettivamente scrivere un rigo di musica...me ne viene giusto in mente uno che secondo me non sa nemmeno solfeggiare ! Va be...
Aspetto contributi per definire meglio...